Il sesamo è utile per abbassare il colesterolo

Ancora una buona notizia per chi soffre di colesterolo: dal risultato di una recente ricerca condotta dall’Università di Calcutta, in India, è emerso che il sesamo è in grado di ridurre il colesterolo e di mantenere in equilibrio il livello di LDL, ovvero il colesterolo cattivo, e quindi di allontanare il pericolo di malattie cardiovascolari. La ricerca in questione, coordinata dal dottor Santinath Ghosh, è stata pubblicata sulla rivista scientifica “Journal of Food Science”.

Già in passato diversi studi avevano evidenziato i benefici dell’olio di sesamo per la salute, ma con la ricerca del dottor Ghosh ha aperto un nuovo orizzonte sulle proprietà del sesamo: pare infatti che le proteine contenute in questi semi siano in grado di ridurre i livelli colesterolo cattivo e di trigliceridi e di aumentare quelli del colesterolo cosiddetto buono.

La ricerca, condotta in laboratorio su modello animale, ha mostrato come un’aggiunta di sesamo nell’alimentazione contribuisca ad abbassare i livelli di colesterolo LDL ed aumentare quelli di HDL, oltre a far calare anche i livello dei lipidi del fegato e quelli plasmatici, tutti elementi che possono contribuire ad tenere lontane eventuali malattie cardiovascolari.

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Miele, tutte le virtù

Delle virtù benefiche del miele vi abbiamo parlato in diverse occasioni. Oggi però torniamo sull’argomento con l’aiuto di un esperto; il contributo che segue è infatti curato dal dottor Paolo Scicolone, tecnologo alimentare. Il dottor Scicolone, vive e lavora a Catania, dove esercita già da diversi anni la libera professione di consulente alimentare.

Buona lettura!

Considerato con distacco dagli ortodossi della dieta ipocalorica ma benedetto dalle usanze popolari e dai nutrizionisti più attenti ai valori nutrizionali complessivi degli alimenti, fra scienza e mito un posto di assoluto riguardo nelle culture di tutti i popoli è sicuramente riservato al miele. Prima  dell’avvento della “civiltà”, questo alimento rappresentava praticamente l’unico sapore dolce conosciuto dall’uomo; certo, si mangiavano anche frutta, radici zuccherine, petali di fiori dolciastri ma il gusto pieno e tondo del dolce lo trovava solo nel miele. Come tutti i prodotti dell’arnia è per noi un “superalimento”, purchè sia integrale e vergine. Universalmente e tradizionalmente riconosciuto per le sue virtù salutistiche è oggi, letteratura scientifica alla mano, considerabile come un efficacissimo integratore alimentare ed utile coadiuvante come rimedio in diverse patologie.

Attualmente i tipi di miele in commercio sono diversi e traggono proprietà e virtù dai fiori da cui sono derivati.

  • Miele di abete: di colore molto scuro, quasi nero, fortemente aromatico con sapore assai gradevole, il miele di abete è ritenuto un ottimo antisettico polmonare e delle vie respiratorie in grado di produrre effetti antipiretici, espettoranti, spasmolitici.

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Dislipidemie, diagnosi e cura

Le dislipidemie, così come le abbiamo definite ieri, rimangono asintomatiche fino a quando non insorgono complicazioni legate ad aterosclerosi o eventi acuti quali infarto e ictus. Per questo motivo è opportuno sottoporsi a controlli periodici di valutazione dei livelli ematici di colesterolo e trigliceridi in modo da mettere in atto tempestivamente comportamenti atti ad evitare seri danni per la nostra salute. La diagnosi di dislipidemia può essere fatta quindi attraverso un semplice esame del sangue. Il colesterolo è in questo senso il valore più importante da tenere sotto controllo: valori superiori a 240 mg/dl indicano che si sta correndo un rischio piuttosto alto. Il valore ottimale è invece sotto i 200 mg/dl, mentre valori compresi tra 200 e 239 mg/dl sono da attenzionare. Per quanto riguarda i trigliceridi sono da considerarsi normali valori compresi fra 7 e 170 mg/dl.

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Le dislipidemie

I grassi sono sostanze nutritive fondamentali per la salute del nostro organismo: costituiscono, dopo zuccheri e proteine, una fonte di energia diretta e una forma di accumulo di questa, concorrono alla formazione delle membrane cellulari e si trovano associati a vitamine importatissime quali la vitamina A, D e K; essi dunque non rappresentano di per se stessi un pericolo per la salute dell’uomo, almeno fino a quando la loro concentrazione non supera un certo livello. Questo può verificarsi quando l’apporto di grassi attaverso la dieta supera di molto le necessità dell’organismo e/o si è in presenza di una predisposizione genetica ed avere come conseguenza il loro accumulo nel fegato e nei vasi sanguigni. In particolare, l’accumulo di grasso nelle pareti delle arterie provoca un loro restringimento che predispone all’infarto e, più in generale, all’insorgenza di patologie cardiovascolari.

Con il termine dislipidemia si indica una condizione clinica caratterizzata da un’elevata concentrazione di grassi nel sangue. Tuttavia il termine comprende diverse patologie ed è questo il motivo per cui si parla di dislipidemie, differenti per cause, trattamenti e conseguenze sullo stato di salute della persona. In ogni caso tutte rappresentano uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare e sono associate all’aumentata incidenza di condizioni quali disfunzioni erettili, demenza vascolare, disturbi visivi e disfunzioni renali. In base alle cause che le determinano le dislipidemie vengono distinte in: primarie, su base genetica, e acquisite, o secondarie.

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Il fabbisogno calorico giornaliero

Il fabbisogno calorico giornaliero è la quantità di energia che serve per mantenere stabile il peso corporeo, ed è espressa in chilocalorie (Kcal); il consumo quotidiano delle calorie si ottiene dalla somma di tre fattori, ovvero il metabolismo basale, cioè il consumo calorico in stato di riposo, dopo aver digerito e a temperatura costante; detto in altre parole, il metabolismo basale è l’energia che serve allo’organismo per compiere i procedimenti “interni”.

Gli altri due fattori che determinano il fabbisogno calorico sono la termogenesi prodotta dalla dieta, ovvero l’energia usata dall’organismo per metabolizzare e digerire il cibo assunto durante i pasti, e il costo energetico dell’attività fisica, cioè l’energia spesa durante lo svolgimento di attività fisica che dipende, ovviamente, dal livello di sedentarietà della persona.

Il fabbisogno calorico giornaliero varia da persona a persona perché dipende dalle caratteristiche dell’individuo stesso, ovvero dall’età, dal peso, dal livello di massa magra, dal lavoro che svolge e dal tipo o quantità di attività sportiva. Ma non solo; in parte dipende anche dalla predisposizione genetica, in quanto, ad esempio, il metabolismo basale varia da un individuo all’altro.

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Il pesce fa bene alla prostata

Mangiare pesce aiuta a curare il tumore alla prostata? Sembra che la risposta sia un si, almeno secondo una rassegna degli studi sul tema, condotta presso la McGill University di Montreal, in Canada, e pubblicata sull’American Journal of Clinical Nutrition. Più precisamente, i ricercatori canadesi, attraverso l’analisi di una trentina di contributi, sono giunti alla conclusione che se il consumo regolare di pesce, la cui efficacia preventiva nei confronti di infarto e ictus è ampiamente accertata, non è in grado di prevenire il tumore alla prostata aiuta nel caso questo abbia già fatto la propria nefasta comparsa riducendo del 44 per cento la probabilità di sviluppare metastasi e del 63 per cento il rischio di morte.

Sempre secondo i ricercatori canadesi gli effetti benefici del pesce sulla prognosi del tumore alla prostata potrebbero essere ascrivibili all’azione antinfiammatoria esercitata dagli oli contenuti nel pesce; proprio questi sarebbero in grado di agire sulla crescita del tumore contrastandola, come evidenziato da alcuni studi precedenti a proposito dei grassi omega-3, contenuti in buone quantità proprio nel pesce.

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La dieta che aiuta la memoria

Stando ai risultati di una ricerca  condotta presso l’Università di Lund, in Svezia, e coordinata dal professor Inger Björck, l’associazione di alcuni particolari cibi permette non solo di ridurre il colesterolo cattivo LDL, gli stati infiammatori e la pressione sanguigna ma anche di potenziare le proprie capacità mnemoniche.

Il team di ricercatori svedesi ha creato una dieta ad hoc basata su cibi ricchi di acidi grassi e fibre e a basso indice glicemico, in grado di svolgere un’azione antinfiammatoria ed antiossidante: pesce azzurro, proteine della soia, pane integrale, orzo, cannella, aceto, mirtilli e mandorle.

In seguito la ricerca ha visto il coinvolgimento di 44 soggetti di entrambo i sessi, di età compresa tra i 50  e i 75 anni, tutti sani seppure con lievi problemi di sovrappeso. Ciascuno di essi ha seguito la dieta per un periodo di quattro settimane al termine delle quali sono stati svolti i dovuti accertamenti medici.

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Come difendersi dalle malattie alimentari

Sappiamo già che la cottura dei cibi è fondamentale per proteggerci dal rischio di contrarre infezioni alimentari; tuttavia gli alimenti possono venire contaminati da agenti tossici anche dopo essere stati cucinati, ad esempio perchè maneggiati con i medesimi utensili impiegati per gli alimenti crudi, o possono rimanere infetti perchè le tossine nocive da essi portate resistono al calore.

Per questo motivo è importante osservare alcune fondamentali norme igieniche durante l’intero percorso del cibo dal negozio alla nostra tavola:

  • valutate attentamente la qualità dei prodotti alimentari che acquistate; uova, frutti di mare e carni sono tra gli alimenti a più alto rischio di contaminazione;
  • non consumate carne, uova e molluschi crudi o poco cotti;
  • lavate bene le mani prima di toccare il cibo;
  • lavorate gli alimenti cotti con utensili diversi rispetto a quelli utilizzati per i cibi crudi;
  • evitate ogni contatto tra alimenti crudi e cotti;

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Botulino, perchè è pericoloso

Il botulino (Clostridium botulinum) è un batterio che può contaminare i cibi rendendoli altamente tossici e quindi pericolosi per la nostra salute. L’ingestione di cibi contaminati da botulino può causare infatti una grave intossicazione, nota appunto come botulismo, caratterizzata da sintomi quali nausea, vomito, diarrea, dolori muscolari, secchezza delle fauci e delle vie respiratorie cui si aggiungono problemi neurologici e disturbi visivi. Il botulismo può portare alla morte per paralisi respiratoria ma attualmente il tasso di mortalità per botulismo, che una volta si attestava intorno al 60-70% dei casi, è sceso al 15-20% grazie all’introduzione dell’antitossina specifica (siero antibotulinico).

Ma quali sono i cibi maggiormente a rischio di contaminazione? I cibi che vanno più facilmente soggetti all’azione della tossina botulinica sono le carni e i pesci in scatola, i salumi, le conserve e i vegetali conservati sott’olio. In particolare, il rischio di contaminazione da botulino riguarda soprattutto i preparati casalinghi a causa della mancata osservazione delle necessarie, e spesso elementari, norme igienico-sanitarie nella loro preparazione.

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Binge eating e obesità, più a rischio dopo una dieta restrittiva

Secondo uno studio condotto alla Boston University dai ricercatori italiani Valentina Sabino e Pietro Cottone, le persone che seguono una dieta estrema corrono maggiori rischi di diventare obese e rimanere vittime del binge eating, un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall’assunzione incontrollata di cibo ma che si distingue dalla bulimia per l’assenza di condotte compensatorie (in altre parole la persona non ricorre all’induzione del vomito e/o all’uso di lassativi per riparare all’eccessivo introito calorico).

Gli studiosi hanno dimostrato come la dipendenza e la compulsione verso alcuni alimenti possono insorgere come conseguenza di regimi dietetici caratterizzati dall’alternanza di cibi gustosi e ipercalorici (i cosiddetti junk food) e cibi “normali” analizzando il comportamento di alcune cavie da laboratorio; i topolini hanno seguito un regime dietetico alternato: per cinque giorni la settimana è stato somministrato loro del cibo normale per due una dieta zuccherina al sapore di cioccolato.

Come spiega Pietro Cottone

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L’obesità centrale

Come abbiamo già visto qualche tempo fa a proposito dei diversi tipi di obesità, quest’ultima può essere classificata in base alle cause che l’hanno originata in essenziale ed endocrina e, in base alla distribuzione di grasso a livello corporeo, in androide e ginoide. In particolare, l’obesità androide è caratterizzata dall’accumulo di tessuto adiposo soprattutto a livello addominale ed è per questo motivo che vi si riferisce anche con l’espressione obesità centrale o obesità addominale.

A questo tipo di obesità, più frequente negli uomini che nelle donne, si associa un maggiore rischio di ipercolesterolemia e ipertensione, con aumentato rischio cardiovascolare, a causa della maggiore distribuzione del grasso a livello viscerale (ossia a ridosso degli organi interni). D’altra parte, l’obesità centrale è frequentemente associata a diabete di tipo due, dislipidemie e iperuricemia e concorre insieme a queste a delineare il quadro clinico definito sindrome metabolica.

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Il mercurio negli alimenti

Il mercurio è un metallo pesante che a temperatura ambiente si presenta allo stato liquido ed è contraddistinto da un basso grado di tossicità; lo stesso però non può dirsi dei suoi vapori (se inalati), dei suoi sali inorganici solubili e, soprattutto, dei suoi derivati organici, quali il metilmercurio, i quali risultano invece altamente tossici e possono mettere seriamente in pericolo la salute dell’uomo.

Infatti, a causa della sua massiccia immissione ambientale da parte dell’uomo, il mercurio può contaminare alcuni cibi come i prodotti ittici, la selvaggina e i cereali coltivati su terreni inquinati. Mentre nella gran parte degli alimenti il mercurio è presente al di sotto dei limiti di rilevabilità strumentale, la maggior fonte di assunzione alimentare del metallo è rappresentata dal pesce pescato in mari contaminati, la cui assunzione prolungata può provocare disturbi a livello del sistema nervoso.

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La sindrome metabolica

Sindrome metabolica, definizione

Più che una vera e propria patologia, la sindrome metabolica rappresenta una situazione clinica che include una serie di fattori di rischio e sintomi che si manifestano contemporaneamente nell’individuo e sono collegati al suo stile di vita e/o a patologie preesistenti. La sindrome espone ad un elevato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari, diabete e steatosi epatica, rischio che risulta ridotto solo da un drastico cambiamento delle proprie abitudini da parte di coloro che ne sono affetti.

Sindrome metabolica, le cause

La sindrome metabolica è particolarmente diffusa tra gli adulti fra i 50 e i 60 anni di età ma comincia ad interessare sempre più spesso anche i giovani a causa del dilagare dell’obesità infantile, dal momento che il fattore di rischio più importante per la sua insorgenza è senza dubbio il sovrappeso: l’eccesso di grasso corporeo, soprattutto addominale, causa infatti uno squilibrio nel metabolismo dei grassi e degli zuccheri tale da determinare un aumento dei livelli ematici di insulina (iperinsulinemia) che se non conduce direttamente al diabete concorre appunto all’instaurarsi della sindrome metabolica.

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Ipertensione e alimentazione

Secondo quanto dichiarato di recente dal dottor Bruno Trimarco, presidente della SIIA (Società Italiana dell’Ipertensione arteriosa) e ordinario di medicina interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II, circa il 20% degli italiani soffre di ipertensione arteriosa e la metà di essi, nonostante sia perfettamente consapevole del proprio stato di salute, non segue le indicazioni degli specialisti sullo stile alimentare più adeguato per tenere a bada il disturbo ed evitare così di incorrere in accidenti cardiovascolari quali ictus e infarto.

Eppure, nei casi in cui, secondo il giudizio del medico, l’ipertensione primaria, ovvero non dipendente da malattie cardiovascolari o endocrine (caso in cui si parla di ipertensione secondaria) non ha ancora raggiunto livelli allarmanti, per scampare il pericolo basterebbe seguire la dieta giusta ed eliminare i fattori di rischio quali vita sedentaria, vizio del fumo e stress. La dieta può comunque giovare anche a coloro che sono affetti da ipertensione secondaria, coadiuvando l’azione dei farmaci anti ipertensivi.

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La celiachia

Cos’è la celiachia

La celiachia, o malattia celiaca, è un’intolleranza ad una componente del glutine (la gliadina), un complesso di proteine presenti in frumento, orzo, segale, avena, kamut e farro. Come vedremo meglio in seguito, le persone affette da celiachia devono evitare tutti gli alimenti derivati da questi cereali così come tutti quelli che possono contenere glutine per contaminazione, dal momento che la sua assunzione può causare gravi lesioni alla mucosa dell’intestino tenue.

Celiachia, i sintomi

Sebbene non si possano indicare con esattezza sintomi tipici della celiachia, in genere le persone celiache lamentano sintomi quali diarrea intermittente e dolori addominali oppure possono manifestare sintomi quali irritabilità, tono dell’umore depresso, crampi muscolari, dolore articolare, debolezza generale e, nei bambini, difficoltà di accrescimento.

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Carenza di calcio nel sangue, ipocalcemia

Il calcio nel nostro organismo

Circa il 99% del calcio presente nel nostro organismo è depositato nelle ossa e nei denti mentre il restante 1% confluisce nei tessuti molli, nei fluidi cellulari e nel sangue. Come è noto, questo minerale viene utilizzato dall’organismo per lo sviluppo e il mantenimento della struttura ossea ma partecipa anche al processo di coagulazione del sangue, di stimolazione di nervi e muscoli, al funzionamento dell’ormone paratiroideo e al metabolismo della vitamina D.

Carenza di calcio, le cause

Poichè i livelli ematici di calcio dipendono dall’attività congiunta della vitamina D e di due ormoni, paratormone e calcitonina, che a loro volta ne modulano il rilascio nelle ossa, nonchè il suo riassorbimento e la sua espulsione a livello renale, la carenza di calcio (ipocalcemia) può essere dovuta ad una mancanza di vitamina D o ad una concentrazione anomala dei suddetti ormoni e solo relativamente ad un’alimentazione non equilibrata.

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Gastrite, la dieta giusta

La gastrite è un’infiammazione, acuta o cronica, della parete gastrica che si manifesta con sintomi quali acidità, bruciori e crampi allo stomaco, vomito e nausea. Mentre la gastrite cronica viene generalmente trattata attraverso l’assunzione, dietro consiglio medico, di farmaci mirati, le forme acute, lievi e transitorie, del disturbo, possono essere affrontate seguendo un regime alimentare adeguato, magari associato a un periodo di riposo. Talvolta infatti a causare la gastrite sono proprio cattive abitudini alimentari rappresentate primariamente dall’abuso di cibi e bevande irritanti per la mucosa gastrica o l’abuso di alcol e farmaci di automedicazione che esercitano un’azione gastrolesiva.

Sia in caso di gastrite cronica, che in caso di gastrite acuta, è dunque importante osservare precise regole alimentari che, se non permettono di risolvere il problema, questo vale soprattutto per le forme croniche, consentono di “tenerlo a bada” attenuandone allo stesso tempo le manifestazioni sintomatiche. Sappiate però che se siete affetti da gastrite, oltre agli immancabili elenchi di cibi consigliati e di cibi da evitare, dovrete tener conto anche che di alcune regole di comportamento che vi saranno altrettanto utili che la scelta dei cibi maggiormente indicati e l’evitamento di quelli che invece possono nuocere nella vostra condizione:

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Il favismo

Cos’è il favismo

Il favismo è una malattia genetica ereditaria causata dal deficit dell’enzima G6PD (Glucosio-6-fosfato deidrogenasi), presente nei globuli rossi. La carenza dell’enzima scatena una crisi emolitica (causa cioè la distruzione dei globuli rossi) in seguito all’ingestione di fave fresche o secche, crude o cotte ma anche di altri vegetali, quali piselli e Verbena hydrata e di alcuni farmaci come sulfamidici, salicilati, chinidina, blu di metilene, menadione ecc. In particolare è la divicina, sostanza tossica contenuta nelle fave a scatenare la crisi inducendo sintomi, come vedremo meglio in seguito, quali anemia con ittero, debolezza, nausea, vomito, urine di colore rossastro.

Favismo, le cause

Come abbiamo visto a causare la malattia è una carenza dell’enzima G6PD associata ad un’anomalia cromosomica: la malattia si trasmette attraverso il cromosoma sessuale X e ad esserne colpiti sono più i maschi che le femmine, portatrici dell’anomalia cromosomica, che manifestano solo forme lievi del disturbo.

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