Dieta del rientro: no alle pillole ormonali

Proprio qualche giorno fa vi avevamo fornito alcuni consigli per perdere i chili di troppo accumulati durante le vacanze, in quanto, molto spesso, l’estate lascia in eredità un po’ di grasso superfluo. Purtroppo, però, non tutti scelgono di seguire una dieta sana a base di frutta e verdura, ma si affidano o al fai da te o ricorrono alle pillole ormonali per stimolare la tiroide, e quindi, il metabolismo.

L’allarme arriva dal centro di ricerca Cerifos, il quale ha registrato un aumento nel consumo di pillole contenenti ormoni stimolatori della tiroide, proprio con lo scopo di favorire il metabolismo.

Inutile dire che i danni per la salute sono ingenti: si va dalle palpitazioni al nervosismo, alla diarrea, passando per la tachicardia alla sudorazione eccessiva. Ma non è finita qui; con l’assunzione di queste pillole è possibile che aumenti il livello di calcio nel sangue e che, di conseguenza, si incorra nella perdita della massa ossea.

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Donne e sovrappeso crescente, un legame che si può spezzare

Stando alle statistiche, le donne che vivono nei paesi industrializzati ingrassano, inevitabilmente, al ritmo di seicentocinquanta grammi l’anno. Tuttavia, secondo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della School of Public Health and Preventive Medicine della Monash University di Melbourne e pubblicato sul British Medical Journal, quello che sembra essere il triste destino della donna nelle società opulente e sprecone può essere evitato seguendo un programma di mantenimento del peso in cui dieta, ginnastica e supporto motivazionale la facciano da padrone.

La ricerca ha coinvolto un campione di 250 donne con un’età media di 40 anni la metà delle quali è stata inserita in un programma focalizzato

Sui cambiamenti nei comportamenti relativi alla dieta e all’attività fisica, ma non specificamente sulla perdita di peso

I partecipanti sono stati pesati, misurati e hanno completato un questionario. Negli incontri, successivi, oltre a fornire loro informazioni su dieta, attività fisica e strategie di comportamento, sono stati discussi gli obiettivi personali, le aspettative e la prevenzione delle ricadute. Sono stati identificati i problemi e i freni al cambiamento dei comportamenti e preparati i piani di azione individuali

Le donne sono state inoltre incoraggiate a costituire gruppi di cammino, è stato fornito loro un contapassi per monitorare l’andamento ed è stato loro chiesto di misurare il peso regolarmente

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La dieta chetogenica

Con il termine dieta chetogenica si fa riferimento a regimi alimentari dimagranti caratterizzati dalla drastica riduzione dei carboidrati e basati sul presupposto che un elevato introito di proteine e grassi favorisca il consumo di questi ultimi a scopo energetico, evitandone l’accumulo. L’organismo, infatti, utilizza di norma i carboidrati per “produrre” l’energia di cui necessita ma quando le riserve di questi sono insufficienti ricorre ai grassi per ottenere il medesimo risultato.

Il dimagrimento effettivamente ottenibile grazie alle diete chetogeniche è dovuto inizialmente alla perdita di acqua e al consumo di glicogeno (il carburante dell’organismo ottenuto dai carboidrati); solo in seguito la riduzione dell’introito calorico giornaliero, favorita dal potere saziante di grassi e proteine, determina il dimagrimento vero e proprio dovuto alla perdita di grasso corporeo

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L’aglio secco è utile contro l’ipertensione

Non è una novità che l’aglio sia un ottimo antibiotico naturale, in quanto riesce a combattere molti funghi, virus e batteri; inoltre è indispensabile in cucina per aromatizzare diversi tipi di pietanze, ma purtroppo, non sempre è molto amato a causa del suo gusto pungente e dall’odore non proprio piacevole soprattutto per l’alito.

Partendo dal presupposto che l’aglio è utilissimo per la salute del nostro organismo, per evitare l’unico suo aspetto poco piacevole, ovvero il sapore che lascia in bocca, si può ricorrere all’aglio liofilizzato, soprattutto alla luce di una recente scoperta australiana che ne evidenzia l’efficace anche nella lotta all’ipertensione; anzi: secondo la ricerca è proprio quello liofilizzato, l’aglio migliore per ridurre la pressione arteriosa.

La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi dell’Università di Adelaide e pubblicata sulla rassegna “Maturitas” che si sono avvalsi dell’aiuto di cinquanta anziani con un valore massimo di pressione di 140; i pazienti hanno consumato estratti di aglio liofilizzato per tre mesi. Alla fine dello studio i ricercatori hanno raccolto i valori della pressione sanguigna attestandone una diminuzione di oltre dieci punti rispetto all’inizio dell’esperienza.

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Le carote viola correggono i nostri errori alimentari

Secondo uno studio condotto da gruppo di ricercatori australiani dell’University of Southern Queensland, i cui risultati sono stati pubblicati sul British Journal of Nutrition, la carota viola possiede eccellenti qualità anti infiammatorie, oltre alle già note proprietà anti ossidanti, e aiuta a correggere i danni causati da un periodo di stravizi alimentari.

Gli studiosi ne hanno infatti testato gli effetti sulla salute di  un gruppo di topolini da laboratorio a cui era stata somministrata dapprima una dieta ricca di grassi e carboidrati che aveva causato loro ipertensione, innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue e disfunzioni del fegato e del cuore; dopo sedici settimane è bastato aggiungera alla loro malsana dieta, per i due mesi successivi, del succo di carote viola e tutto è tornato alla normalità.

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Celiachia, individuati i tre peptidi responsabili

Sarebbero state individuate le tre molecole tossiche responsabili della celiachia, ovvero i peptidi del glutine che scatenano la reazione immunitaria nelle persone che ne sono affette; la scoperta, annunciata sulla rivista Science Translational Medicine, rappresenta un notevole passo avanti nella lotta contro questa malattia che potrebbe portare alla messa a punto di un vaccino contro di essa, la cui sperimentazione è già stata avviata.

La scoperta si deve all’equipe di Bob Anderson e di Jason Tye-Din del Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research di Parkville, in Australia. Gli esperti hanno osservato un campione di 200 pazienti cui è stata somministrata una dieta a base di cereali per circa sei giorni; trascorso questo tempo sono state isolate, attraverso un prelievo di sangue, le cellule immunitarie responsabili della reazione al glutine (linfociti T) le quali sono state in seguito messe a contatto con 2.700 peptidi “sospetti”.

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Le diete drastiche conducono all’infertilità

Le diete drastiche possono portare all’infertilità. Questo almeno è quanto suffragato da una ricerca dell’Institute of Healthy Ageing dell’University College di Londra (GB) condotta dal team di Linda Partridge che ha osservato gli effetti della restrizione calorica sui moscerini della frutta. I risultati sono stati sorprendenti: una vita breve mangiando troppo e la ridotta fertilità, mangiando troppo poco, sono dovuti ad uno squilibrio negli aminoacidi.

Queste sostanze sono infatti estremamente importanti per la longevità e la fertilità (zuccheri, vitamine e lipidi hanno invece effetti scarsi o nulli). In particolare è la metionina ad offrire maggiori garanzie di longevità e senza avere alcun effetto nocivo sulla capacità riproduttiva degli organismi e, nonostante lo studio sia stato condotto sui moscerini della frutta, pare proprio che l’effetto di tale restrizione alimentare sia presente anche nei mammiferi e nell’uomo. E’ dunque il giusto bilanciamento di elementi nutrizionali ad offrire gli innegabili effetti positivi in termini di salute.

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Sindrome da deficit di attenzione e iperattività, individuato un legame con l’alimentazione

La Sindrome da deficit di attenzione e iperattività sarebbe legata ad un’alimentazione ricca di cibi grassi e trasformati e povera di frutta e verdura. A sostenerlo è uno studio dell’australiano Telethon Institute for Child Health Research di Perth, pubblicato sulla rivista Journal of Attention Disorders, che ha preso in esame un campione di 1.800 ragazzi analizzandone le preferenze in fatto di alimentazione e dividendoli, di conseguenza, in due gruppi: ”consumatori sani” e ”consumatori modello occidentale”.

Focalizzando in seguito la loro attenzione su 115 adolescenti (91 ragazzi e 24 ragazze) ai quali era stato diagnosticato il disturbo all’età di 14 anni, i ricercatori hanno rilevato che i loro pasti erano composti soprattutto da pietanze grasse, cibi fritti, insaccati, carni rosse e latticini. Il consumo abituale di cibo spazzatura sarebbe quindi associato a un rischio più che raddoppiato di incorrere nella Sindrome.

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La vitamina C aiuta a combattere il cancro

Il dibattito sull’utilità delle vitamine nella prevenzione e nella cura del cancro è da sempre acceso. Un giorno si dice che servono, un altro che non servono, e spesso la confusione regna sovrana. Ma un nuovo studio, oggi, afferma che la vitamina C ha significativi effetti sul cancro. Nuovo avvocato di questa vitamina è la dott.ssa Margreet Vissers, docente presso l’Università di Otago e membro del Free Radical Research Group, in Nuova Zelanda.

Secondo la dott.ssa Vissers, infatti, vi è la prova significativa di un reale collegamento tra la vitamina C e la crescita tumorale. Come ha affermato la dott.ssa Vissers durante la sua intervista per la rivista scientifica Cancer Research,

“I risultati di questo studio offrono una promessa d’intervento nella lotta contro il cancro sia a livello di prevenzione che a livello di cura”.

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Additivi alimentari, conservanti pericolosi

L’utilizzo di additivi, cui si fa massicciamente ricorso nell’industria alimentare, è piuttosto controverso;  se da un lato alcuni di essi, come i conservanti, sono utili perchè proteggono i cibi dall’inevitabile deterioramento provocato da germi e batteri, dall’altro ve ne sono diversi, come coloranti e agenti di rivestimento, che non hanno alcuna utilità se non quella di rendere maggiormente invitante nell’aspetto cibi spesso di cattiva qualità, invogliando al loro consumo.

Alcuni additivi poi, che si tratti di coloranti o conservanti, sono francamente nocivi per la salute e il consumo di cibi che li contengono andrebbe accuratamente evitatato; per questo motivo è fondamentale imparare a leggere le etichette prima di procedere all’acquisto di un qualsiasi prodotto alimentare che sia stato sottoposto a processi di trasformazione industriale.

E’ doveroso poi precisare che sono gli alimenti più pregiati sotto il profilo nutrizionale a vantare un minore, o nullo, contenuto di additivi, mentre lo stesso non può dirsi di prodotti quali snack, merendine, caramelle, dolciumi, bevande gassate e zuccherate. Non a caso tra i prodotti ai quali è fatto divieto dalla legge aggiungere additivi di qualunque genere troviamo: latte fresco pastorizzato, olio extra-vergine di oliva, yogurt al naturale, miele, paste alimentari secche.

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Mal di testa, come capire se è il cibo a provocarlo

Abbiamo già visto che alcune sostanze contenute negli alimenti (amine bioattive, additivi alimentari ecc.) possono avere effetto cefalgico e che è questo il motivo per cui, soprattutto in persone predisposte,subito dopo mangiato può fare la propria comparsa uno sgradevole mal di testa. Questo però non significa affatto che siamo in presenza di un’allergia alimentare, quanto piuttosto di un’ipersensibilità o intolleranza verso un alimento o una classe di alimenti.

Ma come è possibile individuare il nostro nemico? Come facciamo ad essere davvero sicuri che sia stato quel particolare cibo che noi sospettiamo a provocarci sintomi quali mal di testa, tachicardia e abbassamento della pressione?  Per prima cosa dobbiamo essere sicuri che la nostra cefalea abbia realmente a che fare con l’alimentazione; è opportuno quindi, se questa si presenta regolarmente da diversi giorni, segnare l’orario in cui fa la propria comparsa.

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Additivi alimentari, il glutammato monosodico

monosodio glutammato

Il  glutammato monosodico è un aminoacido contenuto in tutte le proteine degli alimenti (formaggi, latte, funghi, carne, pesce e vegetali) ma è anche uno degli additivi più comunemente impiegati nell’industria alimentare come esaltatore di sapidità per dadi da brodo, prodotti in scatola, salse e sughi, salumi, piatti pronti surgelati e liofilizzati. In etichetta si trova classificato con la sigla E621.

Il glutammato fu scoperto in Giappone nel 1908 dal dott. Kikunae Ikeda, dell’università di Tokyo, che lo estrasse dall’alga marina kombu; il suo sapore si guadagnò subito l’appellattivo di umami (o umai) che significa saporito, delizioso e, secondo recenti ricerche, rappresenterebbe un sapore a sè (il quinto) comune anche ad altri alimenti particolarmente ricchi di proteine come carni e formaggio.

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Gli additivi alimentari, cosa sono a cosa servono

Gli additivi sono sostanze impiegate nell’industria alimentare per conservare a lungo gli alimenti mantenendone inalterate le qualità nutrizionali e/o per renderli più appetibili nell’aspetto, nel gusto e nella consistenza. Più precisamente, è possibile distinguere gli additivi alimentari in tre gruppi:

  • Additivi che mantengono inalterati gli alimenti: conservanti, che rallentano la formazione di germi e batteri e antiossidanti, che contrastano l’irrancidimento.
  • Additivi che migliorano il gusto, l’aspetto e la consistenza degli alimenti: coloranti, addensanti, emulsionanti, edulcoranti, esaltatori di sapidità.
  • Additivi usati per la lavorazione degli alimenti ma che non incidono sul gusto e sull’aspetto del prodotto finale: agenti anti-schiuma, anti-agglomeranti ecc.

In Italia sono oltre 3000 gli additivi autorizzati dalla legge; la gran parte di essi sono aromatizzanti e vengono segnalati sull’etichetta con la dicitura generica di aromi. Gli aromatizzanti vengono usati per conferire all’alimento cui vengono aggiunti particolari odori e sapori e possono essere naturali (aceto, limone, sale, zucchero ecc.) o artificiali.

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Cefalea a fine pasto, quali alimenti possono scatenarla

Appena ieri abbiamo visto le ragioni dello sgradevole fenomeno definibile come cefalea da dopo pasto, ovvero quel mal di testa che fa la propria comparsa subito dopo mangiato. Oggi vedremo quali sostanze sono in grado di scatenarlo in individui particolarmente predisposti e quali alimenti le contengono.

Sostanze con azione simil-farmacologica

Amine vasoattive (o bioattive)

Le amine vasoattive (o bioattive) sono prodotti del metabolismo di animali, vegetali e batteri contenute nei cibi o prodotte da questi subito dopo l’ingestione e nel corso dei processi digestivi. Tra queste troviamo: istamina, tiramina, dopamina, serotonina, feniletielenamina. L’istamina è contenuta soprattutto da pesci, crostacei, pomodori, fragole, cavoli, carne di maiale, salumi, albume delle uova, vino e birra; la tiramina si trova soprattutto in formaggi fermentati e stagionati, conserve di pesce, banane mature, fichi, uva passa, avocado, semi di soia, nocciole, estratto di lievito, vino e birra.

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Il cacao protegge i vasi sanguigni

I flavonoli del cacao potrebbero migliorare la funzionalità dei vasi sanguigni. Questo è quanto emerge da una ricerca condotta da un team internazionale di scienziati e pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology. Le malattie cardiovascolari sono una delle principali cause di mortalità e invalidità in molte parti del mondo, con maggior frequenza nei paesi occidentali. Dai risultati emerge che il consumo quotidiano di cacao ha raddoppiato il numero di cellule angiogeniche circolanti nel sangue, le CACs. Le CACs hanno dimostrato, in passato, di poter riparare efficacemente i vasi sanguigni.

Come afferma il dott. Christian Heiss della Heinrich-Heine University di Dusseldorf,

“Per la prima volta, abbiamo scoperto che i flavonoli del cacao potrebbero mobilitare direttamente le cellule deputate alla riparazione dei vasi sanguigni danneggiati. I benefici sono notevoli e non sono stati osservati effetti collaterali.”

Questo studio dimostra che una dieta della durata di un mese ricca di flavonoli porta a un miglioramento evidente della disfunzione endoteliale e a un numero più elevato delle cellule CACs.

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La cefalea, perchè viene dopo mangiato

mal di testa dopo mangiato

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, la comparsa del mal di testa a fine pasto non indica la presenza di un’allergia alimentare; le allergie alimentari propriamente dette sono infatti riconducibili ad allergeni, ovvero a sostanze contenute negli alimenti, di solito proteine, che provocano una risposta immunitaria specifica anche se ingerite in quantità minime e che possono dare luogo a sintomi di una certa gravità, fino ad arrivare allo shock anafilattico.

La cefalea da fine pasto è invece causata da un’alternanza tra fenomeni di vasodilatazione e vasocostrizione (cioè di dilatazione e restringimento dei vasi sanguigni) che “disturbano” la circolazione intracranica causando dolore talvolta accompagnato da lieve aumento del battito cardiaco, ansia diffusa, calo della pressione arteriosa. Questo fenomeno, che è più corretto definire segno di una ipersensibilità o intolleranza alimentare, è causato dall’azione delle amine bioattive o vasoattive, sostanze prodotte dal metabolismo cellulare di vegetali, batteri e animali, contenute negli alimenti o liberate da questi dopo l’ingestione e durante i processi digestivi.

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Con aglio e cipolla assorbi meglio ferro e zinco

Aglio e cipolla possono aumentare, fino a sette volte, la biodisponibilità del ferro e dello zinco che si trovano nei cereali. Il consumo di cereali insieme a queste due liliacee accresce infatti l’assorbimento del 160% dello zinco e del 70% del ferro. Questi sono i risultati di uno studio recentemente pubblicati sul Journal of Agricultural and Food Chemistry. Come affermano i ricercatori del Central Food Technological Research Institute del Mysore, guidati dal dott. Srinivasan Krishnapura,

“Sia l’aglio che la cipolla sono state evidenziate per la loro influenza sulla promozione della biodisponibilità di ferro e zinco proveniente da cereali.”

Questa scoperta potrebbe essere molto importante considerando che la carenza di ferro interessa un terzo della popolazione mondiale, mentre quella di zinco coinvolge ne il 30%. Probabilmente questo è dovuto al fatto che entrambi i nutrienti non sono facilmente assimilabili tramite l’assunzione di cibi vegetali. Ecco perché gli scienziati hanno cercato una soluzione per incrementarne l’assorbimento.

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Gli anacardi, anti-diabetici naturali

Anche gli anacardi si mettono in fila per far concorrenza ad altri anti-diabetici naturali come l’eucalipto, la cannella ed i fagioli. È questo quanto scoperto dai ricercatori delle Università di Montreal, in Canada, e l’Università di la Yaoundé, nel Cameroun. Secondo i ricercatori sarebbe proprio l’anacardo a contenere dei composti attivi, come per esempio l’acido oleico, che hanno virtù anti-diabetiche. Gli estratti provenienti dai semi, ma anche dalle foglie e dalla corteccia, stimolano l’assorbimento muscolare di glucosio necessario per la produzione dell’energia.

Tuttavia,come afferma il dott. Pierre S. Haddad, professore di Farmacologia presso l’Università di Montreal e direttore del team del Canadian Institutes of Health Research for Aboriginal Anti-Diabetic Medicines, nonchè autore di questo studio,

“Di tutti gli estratti testati, solo quello di semi di anacardo ha stimolato notevolmente l’assorbimento del glucosio nel sangue dalle cellule muscolari. Questo estratto probabilmente contiene dei composti attivi che possono avere potenziali proprietà anti-diabetiche.”

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