Come difendersi dalle malattie alimentari

Sappiamo già che la cottura dei cibi è fondamentale per proteggerci dal rischio di contrarre infezioni alimentari; tuttavia gli alimenti possono venire contaminati da agenti tossici anche dopo essere stati cucinati, ad esempio perchè maneggiati con i medesimi utensili impiegati per gli alimenti crudi, o possono rimanere infetti perchè le tossine nocive da essi portate resistono al calore.

Per questo motivo è importante osservare alcune fondamentali norme igieniche durante l’intero percorso del cibo dal negozio alla nostra tavola:

  • valutate attentamente la qualità dei prodotti alimentari che acquistate; uova, frutti di mare e carni sono tra gli alimenti a più alto rischio di contaminazione;
  • non consumate carne, uova e molluschi crudi o poco cotti;
  • lavate bene le mani prima di toccare il cibo;
  • lavorate gli alimenti cotti con utensili diversi rispetto a quelli utilizzati per i cibi crudi;
  • evitate ogni contatto tra alimenti crudi e cotti;

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Botulino, perchè è pericoloso

Il botulino (Clostridium botulinum) è un batterio che può contaminare i cibi rendendoli altamente tossici e quindi pericolosi per la nostra salute. L’ingestione di cibi contaminati da botulino può causare infatti una grave intossicazione, nota appunto come botulismo, caratterizzata da sintomi quali nausea, vomito, diarrea, dolori muscolari, secchezza delle fauci e delle vie respiratorie cui si aggiungono problemi neurologici e disturbi visivi. Il botulismo può portare alla morte per paralisi respiratoria ma attualmente il tasso di mortalità per botulismo, che una volta si attestava intorno al 60-70% dei casi, è sceso al 15-20% grazie all’introduzione dell’antitossina specifica (siero antibotulinico).

Ma quali sono i cibi maggiormente a rischio di contaminazione? I cibi che vanno più facilmente soggetti all’azione della tossina botulinica sono le carni e i pesci in scatola, i salumi, le conserve e i vegetali conservati sott’olio. In particolare, il rischio di contaminazione da botulino riguarda soprattutto i preparati casalinghi a causa della mancata osservazione delle necessarie, e spesso elementari, norme igienico-sanitarie nella loro preparazione.

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Binge eating e obesità, più a rischio dopo una dieta restrittiva

Secondo uno studio condotto alla Boston University dai ricercatori italiani Valentina Sabino e Pietro Cottone, le persone che seguono una dieta estrema corrono maggiori rischi di diventare obese e rimanere vittime del binge eating, un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall’assunzione incontrollata di cibo ma che si distingue dalla bulimia per l’assenza di condotte compensatorie (in altre parole la persona non ricorre all’induzione del vomito e/o all’uso di lassativi per riparare all’eccessivo introito calorico).

Gli studiosi hanno dimostrato come la dipendenza e la compulsione verso alcuni alimenti possono insorgere come conseguenza di regimi dietetici caratterizzati dall’alternanza di cibi gustosi e ipercalorici (i cosiddetti junk food) e cibi “normali” analizzando il comportamento di alcune cavie da laboratorio; i topolini hanno seguito un regime dietetico alternato: per cinque giorni la settimana è stato somministrato loro del cibo normale per due una dieta zuccherina al sapore di cioccolato.

Come spiega Pietro Cottone

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L’obesità centrale

Come abbiamo già visto qualche tempo fa a proposito dei diversi tipi di obesità, quest’ultima può essere classificata in base alle cause che l’hanno originata in essenziale ed endocrina e, in base alla distribuzione di grasso a livello corporeo, in androide e ginoide. In particolare, l’obesità androide è caratterizzata dall’accumulo di tessuto adiposo soprattutto a livello addominale ed è per questo motivo che vi si riferisce anche con l’espressione obesità centrale o obesità addominale.

A questo tipo di obesità, più frequente negli uomini che nelle donne, si associa un maggiore rischio di ipercolesterolemia e ipertensione, con aumentato rischio cardiovascolare, a causa della maggiore distribuzione del grasso a livello viscerale (ossia a ridosso degli organi interni). D’altra parte, l’obesità centrale è frequentemente associata a diabete di tipo due, dislipidemie e iperuricemia e concorre insieme a queste a delineare il quadro clinico definito sindrome metabolica.

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Il mercurio negli alimenti

Il mercurio è un metallo pesante che a temperatura ambiente si presenta allo stato liquido ed è contraddistinto da un basso grado di tossicità; lo stesso però non può dirsi dei suoi vapori (se inalati), dei suoi sali inorganici solubili e, soprattutto, dei suoi derivati organici, quali il metilmercurio, i quali risultano invece altamente tossici e possono mettere seriamente in pericolo la salute dell’uomo.

Infatti, a causa della sua massiccia immissione ambientale da parte dell’uomo, il mercurio può contaminare alcuni cibi come i prodotti ittici, la selvaggina e i cereali coltivati su terreni inquinati. Mentre nella gran parte degli alimenti il mercurio è presente al di sotto dei limiti di rilevabilità strumentale, la maggior fonte di assunzione alimentare del metallo è rappresentata dal pesce pescato in mari contaminati, la cui assunzione prolungata può provocare disturbi a livello del sistema nervoso.

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La sindrome metabolica

Sindrome metabolica, definizione

Più che una vera e propria patologia, la sindrome metabolica rappresenta una situazione clinica che include una serie di fattori di rischio e sintomi che si manifestano contemporaneamente nell’individuo e sono collegati al suo stile di vita e/o a patologie preesistenti. La sindrome espone ad un elevato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari, diabete e steatosi epatica, rischio che risulta ridotto solo da un drastico cambiamento delle proprie abitudini da parte di coloro che ne sono affetti.

Sindrome metabolica, le cause

La sindrome metabolica è particolarmente diffusa tra gli adulti fra i 50 e i 60 anni di età ma comincia ad interessare sempre più spesso anche i giovani a causa del dilagare dell’obesità infantile, dal momento che il fattore di rischio più importante per la sua insorgenza è senza dubbio il sovrappeso: l’eccesso di grasso corporeo, soprattutto addominale, causa infatti uno squilibrio nel metabolismo dei grassi e degli zuccheri tale da determinare un aumento dei livelli ematici di insulina (iperinsulinemia) che se non conduce direttamente al diabete concorre appunto all’instaurarsi della sindrome metabolica.

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Ipertensione e alimentazione

Secondo quanto dichiarato di recente dal dottor Bruno Trimarco, presidente della SIIA (Società Italiana dell’Ipertensione arteriosa) e ordinario di medicina interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II, circa il 20% degli italiani soffre di ipertensione arteriosa e la metà di essi, nonostante sia perfettamente consapevole del proprio stato di salute, non segue le indicazioni degli specialisti sullo stile alimentare più adeguato per tenere a bada il disturbo ed evitare così di incorrere in accidenti cardiovascolari quali ictus e infarto.

Eppure, nei casi in cui, secondo il giudizio del medico, l’ipertensione primaria, ovvero non dipendente da malattie cardiovascolari o endocrine (caso in cui si parla di ipertensione secondaria) non ha ancora raggiunto livelli allarmanti, per scampare il pericolo basterebbe seguire la dieta giusta ed eliminare i fattori di rischio quali vita sedentaria, vizio del fumo e stress. La dieta può comunque giovare anche a coloro che sono affetti da ipertensione secondaria, coadiuvando l’azione dei farmaci anti ipertensivi.

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La celiachia

Cos’è la celiachia

La celiachia, o malattia celiaca, è un’intolleranza ad una componente del glutine (la gliadina), un complesso di proteine presenti in frumento, orzo, segale, avena, kamut e farro. Come vedremo meglio in seguito, le persone affette da celiachia devono evitare tutti gli alimenti derivati da questi cereali così come tutti quelli che possono contenere glutine per contaminazione, dal momento che la sua assunzione può causare gravi lesioni alla mucosa dell’intestino tenue.

Celiachia, i sintomi

Sebbene non si possano indicare con esattezza sintomi tipici della celiachia, in genere le persone celiache lamentano sintomi quali diarrea intermittente e dolori addominali oppure possono manifestare sintomi quali irritabilità, tono dell’umore depresso, crampi muscolari, dolore articolare, debolezza generale e, nei bambini, difficoltà di accrescimento.

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Carenza di calcio nel sangue, ipocalcemia

Il calcio nel nostro organismo

Circa il 99% del calcio presente nel nostro organismo è depositato nelle ossa e nei denti mentre il restante 1% confluisce nei tessuti molli, nei fluidi cellulari e nel sangue. Come è noto, questo minerale viene utilizzato dall’organismo per lo sviluppo e il mantenimento della struttura ossea ma partecipa anche al processo di coagulazione del sangue, di stimolazione di nervi e muscoli, al funzionamento dell’ormone paratiroideo e al metabolismo della vitamina D.

Carenza di calcio, le cause

Poichè i livelli ematici di calcio dipendono dall’attività congiunta della vitamina D e di due ormoni, paratormone e calcitonina, che a loro volta ne modulano il rilascio nelle ossa, nonchè il suo riassorbimento e la sua espulsione a livello renale, la carenza di calcio (ipocalcemia) può essere dovuta ad una mancanza di vitamina D o ad una concentrazione anomala dei suddetti ormoni e solo relativamente ad un’alimentazione non equilibrata.

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Gastrite, la dieta giusta

La gastrite è un’infiammazione, acuta o cronica, della parete gastrica che si manifesta con sintomi quali acidità, bruciori e crampi allo stomaco, vomito e nausea. Mentre la gastrite cronica viene generalmente trattata attraverso l’assunzione, dietro consiglio medico, di farmaci mirati, le forme acute, lievi e transitorie, del disturbo, possono essere affrontate seguendo un regime alimentare adeguato, magari associato a un periodo di riposo. Talvolta infatti a causare la gastrite sono proprio cattive abitudini alimentari rappresentate primariamente dall’abuso di cibi e bevande irritanti per la mucosa gastrica o l’abuso di alcol e farmaci di automedicazione che esercitano un’azione gastrolesiva.

Sia in caso di gastrite cronica, che in caso di gastrite acuta, è dunque importante osservare precise regole alimentari che, se non permettono di risolvere il problema, questo vale soprattutto per le forme croniche, consentono di “tenerlo a bada” attenuandone allo stesso tempo le manifestazioni sintomatiche. Sappiate però che se siete affetti da gastrite, oltre agli immancabili elenchi di cibi consigliati e di cibi da evitare, dovrete tener conto anche che di alcune regole di comportamento che vi saranno altrettanto utili che la scelta dei cibi maggiormente indicati e l’evitamento di quelli che invece possono nuocere nella vostra condizione:

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Il favismo

Cos’è il favismo

Il favismo è una malattia genetica ereditaria causata dal deficit dell’enzima G6PD (Glucosio-6-fosfato deidrogenasi), presente nei globuli rossi. La carenza dell’enzima scatena una crisi emolitica (causa cioè la distruzione dei globuli rossi) in seguito all’ingestione di fave fresche o secche, crude o cotte ma anche di altri vegetali, quali piselli e Verbena hydrata e di alcuni farmaci come sulfamidici, salicilati, chinidina, blu di metilene, menadione ecc. In particolare è la divicina, sostanza tossica contenuta nelle fave a scatenare la crisi inducendo sintomi, come vedremo meglio in seguito, quali anemia con ittero, debolezza, nausea, vomito, urine di colore rossastro.

Favismo, le cause

Come abbiamo visto a causare la malattia è una carenza dell’enzima G6PD associata ad un’anomalia cromosomica: la malattia si trasmette attraverso il cromosoma sessuale X e ad esserne colpiti sono più i maschi che le femmine, portatrici dell’anomalia cromosomica, che manifestano solo forme lievi del disturbo.

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Dieta del rientro: no alle pillole ormonali

Proprio qualche giorno fa vi avevamo fornito alcuni consigli per perdere i chili di troppo accumulati durante le vacanze, in quanto, molto spesso, l’estate lascia in eredità un po’ di grasso superfluo. Purtroppo, però, non tutti scelgono di seguire una dieta sana a base di frutta e verdura, ma si affidano o al fai da te o ricorrono alle pillole ormonali per stimolare la tiroide, e quindi, il metabolismo.

L’allarme arriva dal centro di ricerca Cerifos, il quale ha registrato un aumento nel consumo di pillole contenenti ormoni stimolatori della tiroide, proprio con lo scopo di favorire il metabolismo.

Inutile dire che i danni per la salute sono ingenti: si va dalle palpitazioni al nervosismo, alla diarrea, passando per la tachicardia alla sudorazione eccessiva. Ma non è finita qui; con l’assunzione di queste pillole è possibile che aumenti il livello di calcio nel sangue e che, di conseguenza, si incorra nella perdita della massa ossea.

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Donne e sovrappeso crescente, un legame che si può spezzare

Stando alle statistiche, le donne che vivono nei paesi industrializzati ingrassano, inevitabilmente, al ritmo di seicentocinquanta grammi l’anno. Tuttavia, secondo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della School of Public Health and Preventive Medicine della Monash University di Melbourne e pubblicato sul British Medical Journal, quello che sembra essere il triste destino della donna nelle società opulente e sprecone può essere evitato seguendo un programma di mantenimento del peso in cui dieta, ginnastica e supporto motivazionale la facciano da padrone.

La ricerca ha coinvolto un campione di 250 donne con un’età media di 40 anni la metà delle quali è stata inserita in un programma focalizzato

Sui cambiamenti nei comportamenti relativi alla dieta e all’attività fisica, ma non specificamente sulla perdita di peso

I partecipanti sono stati pesati, misurati e hanno completato un questionario. Negli incontri, successivi, oltre a fornire loro informazioni su dieta, attività fisica e strategie di comportamento, sono stati discussi gli obiettivi personali, le aspettative e la prevenzione delle ricadute. Sono stati identificati i problemi e i freni al cambiamento dei comportamenti e preparati i piani di azione individuali

Le donne sono state inoltre incoraggiate a costituire gruppi di cammino, è stato fornito loro un contapassi per monitorare l’andamento ed è stato loro chiesto di misurare il peso regolarmente

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La dieta chetogenica

Con il termine dieta chetogenica si fa riferimento a regimi alimentari dimagranti caratterizzati dalla drastica riduzione dei carboidrati e basati sul presupposto che un elevato introito di proteine e grassi favorisca il consumo di questi ultimi a scopo energetico, evitandone l’accumulo. L’organismo, infatti, utilizza di norma i carboidrati per “produrre” l’energia di cui necessita ma quando le riserve di questi sono insufficienti ricorre ai grassi per ottenere il medesimo risultato.

Il dimagrimento effettivamente ottenibile grazie alle diete chetogeniche è dovuto inizialmente alla perdita di acqua e al consumo di glicogeno (il carburante dell’organismo ottenuto dai carboidrati); solo in seguito la riduzione dell’introito calorico giornaliero, favorita dal potere saziante di grassi e proteine, determina il dimagrimento vero e proprio dovuto alla perdita di grasso corporeo

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L’aglio secco è utile contro l’ipertensione

Non è una novità che l’aglio sia un ottimo antibiotico naturale, in quanto riesce a combattere molti funghi, virus e batteri; inoltre è indispensabile in cucina per aromatizzare diversi tipi di pietanze, ma purtroppo, non sempre è molto amato a causa del suo gusto pungente e dall’odore non proprio piacevole soprattutto per l’alito.

Partendo dal presupposto che l’aglio è utilissimo per la salute del nostro organismo, per evitare l’unico suo aspetto poco piacevole, ovvero il sapore che lascia in bocca, si può ricorrere all’aglio liofilizzato, soprattutto alla luce di una recente scoperta australiana che ne evidenzia l’efficace anche nella lotta all’ipertensione; anzi: secondo la ricerca è proprio quello liofilizzato, l’aglio migliore per ridurre la pressione arteriosa.

La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi dell’Università di Adelaide e pubblicata sulla rassegna “Maturitas” che si sono avvalsi dell’aiuto di cinquanta anziani con un valore massimo di pressione di 140; i pazienti hanno consumato estratti di aglio liofilizzato per tre mesi. Alla fine dello studio i ricercatori hanno raccolto i valori della pressione sanguigna attestandone una diminuzione di oltre dieci punti rispetto all’inizio dell’esperienza.

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Le carote viola correggono i nostri errori alimentari

Secondo uno studio condotto da gruppo di ricercatori australiani dell’University of Southern Queensland, i cui risultati sono stati pubblicati sul British Journal of Nutrition, la carota viola possiede eccellenti qualità anti infiammatorie, oltre alle già note proprietà anti ossidanti, e aiuta a correggere i danni causati da un periodo di stravizi alimentari.

Gli studiosi ne hanno infatti testato gli effetti sulla salute di  un gruppo di topolini da laboratorio a cui era stata somministrata dapprima una dieta ricca di grassi e carboidrati che aveva causato loro ipertensione, innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue e disfunzioni del fegato e del cuore; dopo sedici settimane è bastato aggiungera alla loro malsana dieta, per i due mesi successivi, del succo di carote viola e tutto è tornato alla normalità.

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Celiachia, individuati i tre peptidi responsabili

Sarebbero state individuate le tre molecole tossiche responsabili della celiachia, ovvero i peptidi del glutine che scatenano la reazione immunitaria nelle persone che ne sono affette; la scoperta, annunciata sulla rivista Science Translational Medicine, rappresenta un notevole passo avanti nella lotta contro questa malattia che potrebbe portare alla messa a punto di un vaccino contro di essa, la cui sperimentazione è già stata avviata.

La scoperta si deve all’equipe di Bob Anderson e di Jason Tye-Din del Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research di Parkville, in Australia. Gli esperti hanno osservato un campione di 200 pazienti cui è stata somministrata una dieta a base di cereali per circa sei giorni; trascorso questo tempo sono state isolate, attraverso un prelievo di sangue, le cellule immunitarie responsabili della reazione al glutine (linfociti T) le quali sono state in seguito messe a contatto con 2.700 peptidi “sospetti”.

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Le diete drastiche conducono all’infertilità

Le diete drastiche possono portare all’infertilità. Questo almeno è quanto suffragato da una ricerca dell’Institute of Healthy Ageing dell’University College di Londra (GB) condotta dal team di Linda Partridge che ha osservato gli effetti della restrizione calorica sui moscerini della frutta. I risultati sono stati sorprendenti: una vita breve mangiando troppo e la ridotta fertilità, mangiando troppo poco, sono dovuti ad uno squilibrio negli aminoacidi.

Queste sostanze sono infatti estremamente importanti per la longevità e la fertilità (zuccheri, vitamine e lipidi hanno invece effetti scarsi o nulli). In particolare è la metionina ad offrire maggiori garanzie di longevità e senza avere alcun effetto nocivo sulla capacità riproduttiva degli organismi e, nonostante lo studio sia stato condotto sui moscerini della frutta, pare proprio che l’effetto di tale restrizione alimentare sia presente anche nei mammiferi e nell’uomo. E’ dunque il giusto bilanciamento di elementi nutrizionali ad offrire gli innegabili effetti positivi in termini di salute.

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