Resveratrolo, un rimedio naturale contro la colite cronica

Gli studi sul resveratrolo, uno tra gli antiossidanti più famosi al mondo e contenuto in buona misura nel vino rosso, sono in costante aumento. Tra questi vi è un nuovo studio spagnolo i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista European Journal of Pharmacology. La dott.ssa Sánchez-Fidalgo e colleghi hanno indagato sulla possibile attività antiulcerosa del resveratrolo nel trattamento della colite cronica indotta dal Dextran Sulfate Sodium, DSS.

Innanzitutto hanno suddiviso in due gruppi alcuni topi e li hanno sottoposti ad una dieta standard. Inoltre, ad uno dei due gruppi sono stati somministrate 3 mg di resveratrolo al giorno per chilo di peso. Dopo 30 giorni di dieta nei topi è stata provocata la colite acuta per mezzo dell’esposizione al DSS per cinque giorni. L’infiammazione, da acuta si è trasformata in cronica dopo altri 21 giorni. Dalle analisi condotte si è evidenziato che nei topi trattati con il supplemento a base di resveratrolo la colite era stata significativamente ridotta in estensione e gravità. Inoltre il resveratrolo aveva contrastato i segni clinici prodotti dal processo infiammatorio.

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Dieta inadeguata per le mamme che allattano

A detta degli scienziati dell’Università di Granada, in Spagna, il 94% delle mamme che allattano al seno non segue una dieta corretta che possa garantire un adeguato apporto di vitamine, proteine e grassi. Questo comporta una riduzione della qualità del latte e dei nutrienti trasmessi al neonato e, al contempo, riduce il benessere della mamma stessa. Lo studio è stato condotto in team dal dott. Jose Luis Gsmez Llorente del Dipartimento di Pediatria dell’Università di Granada e coordinato dalla prof.ssa Cristina Campoy Folgoso.

I ricercatori hanno coinvolto 34 mamme che allattavano al seno a cui è stato consegnato un questionario sulle abitudini alimentari. In seguito hanno raccolto da queste donne cento campioni di latte per valutarne la composizione e confrontare la dieta seguita con le eventuali carenze di sostanze nutrienti. I dati raccolti hanno permesso di stabilire che nel 94% dei casi le mamme seguivano una dieta a scarso contenuto di grassi.

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I diversi tipi di obesità

L’obesità viene classificata a seconda della sua origine (essenziale o endocrina) e della distribuzione del grasso a livello corporeo (androide o ginoide).

Obesità essenziale

L’obesità essenziale, detta anche ipertrofica o iperpalstica, è la tipologia più frequente di obesità. E’ caratterizzata dall’aumento del volume delle cellule adipose a causa dello squilibrio fra il reale fabbisogno energetico della persona e l’introito calorico giornaliero. Tipicamente insorge durante l’infanzia ma può manifestarsi in età adulta a causa di stress emotivi.

Obesità endocrina

L’obesità endocrina segue all’insorgenza di patologie che alterano il funzionamento ghiandolare, ovvero le cosiddette endocrinopatie come la sindrome di Cushing, l’ipotiroidismo, il diabete, la policistosi ovarica, le lesioni ipotalamo-ipofisarie ma può essere determinata anche dall’assunzione di alcuni farmaci come i cortisonici.

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Finalmente i distributori con la frutta

Il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha annunciato, lo scorso novembre, lo stanziamento di 1,5 milioni di euro per promuovere un progetto interessante ed importante per i nostri bambini. Il nome, semplice e diretto, dice tutto: “Scuola e cibo“, ovvero l’intro­duzione dell’educazione alimentare come vera e propria materia di stu­dio nelle scuole italiane. La coordi­nazione del programma è stata affidata al “Comitato Ministeriale per la realizzazione di Piani di Edu­cazione Scolastica Alimentare“, composto da medici, docenti, die­tologi e comunicatoci del settore, in collaborazione con la Coldiretti, il Ministero della Salute, il Mini­stero delle Politiche Agricole, Ali­mentari e Forestali e il Ministero della Gioventù. Il comitato si è posto come obiettivo la creazione di una “generazione Expo”, in pre­visione dell’esposizione universale 2015 di Milano, dedicata pro­prio all’alimentazione.

 La prima fase ha coinvolto 2.000 alunni di 15 scuole elementari (per ora solo delle classi quarte e quinte) divise tra Roma, Milano e Catania. La sperimentazione ha dato il via all’insegnamento della sana ali­mentazione in concomitanza con altre materie scientifiche, storico-geografiche e soprattutto con l’ora di Cittadinanza e Costituzione. Così, la materia, un tempo nota come “educazione civica”, è stata svecchiata per dare ai bambini una possibilità in più per sfuggire al preoccupante problema dell’obe­sità infantile, imparando sin da pic­coli le corrette abitudini di vita, in primis la sana alimentazione e lo sport, definiti come “pilastri” dal Ministro stesso.

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Latte e cancro ai reni? Non ci sarebbe un legame

Latte e cancro ai reni non ci sarebbe un legameRecentemente si era ipotizzato che vi potesse essere un legame tra l’assunzione di latte e un aumento del rischio di cancro ai reni. Un nuovo studio invece mette in dubbio ciò e ribadisce che non è necessario alterare il latte in alcun modo. Sono stati i ricercatori inglesi guidati dal dott. Nicholas Timpson del Reparto di Medicina Sociale all’University of Bristol a sostenere che il fallimento dei risultati genetici per replicare l’associazione tra il latte e il cancro ai reni suggerisce che i timori che il consumo di latte potrebbe elevare il rischio di cancro sono infondati.

Per sostenere questa tesi, gli scienziati hanno pubblicato un particolare studio sulla rivista ufficiale dell’American Association for Cancer Research, la Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention. Quello che hanno voluto verificare i ricercatori era se vi fosse un nesso fondato tra il consumo di latte e il rischio di cancro ai reni, come sostenuto da un precedente studio.

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La distribuzione del grasso corporeo nell’uomo e nella donna

Avrete senz’altro notato che il grasso corporeo si distribuisce in maniera diversa nell’uomo e nella donna: comunemente infatti il primo mette su la pancetta, la seconda presenta i tanti odiati cuscinetti. Per questo motivo quando il grasso si colloca a livello dell’addome si parla di dislocazione del grasso corporeo di  tipo androide mentre quando questo è localizzato su glutei, cosce e fianchi si parla di dislocazione del grasso di tipo ginoide o gluteo-femorale.

Inoltre, mentre nella donna il grasso si colloca prevalentemente nel tessuto sottocutaneo, nell’uomo si accumula a livello intraviscerale affluendo direttamente al fegato e rendendolo maggiormente predisposto all’insorgenza di malattie cardiovascolari e diabete. Se da un lato però la maggior quantità di grasso viscerale presente nel corpo di un uomo rispetto a quello di una donna costituisce un fattore di rischio più elevato per la salute, dall’altro questo viene smaltito più facilmente del grasso sottocutaneo femminile a causa della maggiore sensibilità delle cellule adipose viscerali all’azione lipolitica di adrenalina, noradrenalina (due neurotrasmettitori) e cortisolo (un ormone) i cui livelli aumentano durante il dimagrimento.

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Le vitamine dalla A alla B

Sebbene le vitamine non costituiscano una fonte di energia, introdurle a piccole dosi attraverso l’alimentazione (l’organismo umano infatti non è in grado di sintetizzarle) è fondamentale dal momento che esse contribuiscono allo svolgimento di alcune funzioni vitali.

Come abbiamo già visto, si distinguono in due grandi gruppi: vitamine liposolubili e vitamine idrosolubili. Le prime (A; D; E; K) sono trasportate dai lipidi e possono accumularsi nell’organismo creando delle riserve, le seconde (vitamine del gruppo B; niacina; vitamina C, acido folico) non possono invece essere stoccate e devono essere assunte quotidianamente con gli alimenti.

Oggi vedremo brevemente le vitamine A e del gruppo B, conosceremo gli alimenti che le contengono e le funzioni da esse svolte.

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Anoressia: rapporto patologico con il cibo

anoressia

Colpiscono in prevalenza le ragazze: un maschio ogni dieci femmine sof­fre di anoressia, quattro ogni dieci di bulimia. I disturbi del comportamento alimentare sono molto più diffusi di quel che si pensa; sono tanti i volti dell’anores­sia: si può smettere del tutto di mangiare, abusare di lassativi oppure provocarsi il vomito dopo i pasti. L’obiettivo è sempre lo stesso: perdere peso. Non a caso il dimagrimento è il campanello d’allarme principale, seguito da debolezza, tremori, diminuzione della pressione san­guigna e alterazioni del ritmo cardiaco.

Ragazze e donne ano­ressiche, poi, possono avere il ciclo mestruale alterato o addi­rittura interrotto. A volte, il primo ad accorgersi che qualcosa non va è il dentista, perché nota che i denti sono rovinati dal continuo contatto con il vomito. Spiega il dott. Jeammet

«Rispetto ad altri disturbi del comportamen­to alimentare, l’anoressia è più facile da rico­noscere, perché la perdita di peso è con­sistente e rapida».

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Gli strumenti di valutazione dell’introito calorico

La valutazione delle abitudini nutrizionali o dell’introito calorico, è un metodo utilizzato in ambito medico-sanitario per individuare eventuali errori di comportamento alimentare e valutare l’introito calorico della persona, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, in modo da proporre soluzioni personalizzate ai problemi di sovrappeso e obesità.

L’obiettivo degli strumenti impiegati è quello di conoscere il numero dei pasti, la ripartizione media delle calorie in ciascuno di essi e la frequenza con cui vengono assunti settimanalmente i principali nutrienti ma la rilevazione dell’introito calorico rappresenta anche uno strumento educativo poichè permette alla persona esaminata di fare il punto sulle proprie abitudini alimentari ed eventualmente modificarle.

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Concentrato di frutta e verdura, un potente antinfiammatorio

Il concentrato di frutta e verdura potrebbe essere la risposta naturale contro l’infiammazione cronica, responsabile di patologie come diabete di tipo 2, malattie cardiache e vascolari, osteoporosi, declino cognitivo e artrite. Ad affermarlo è un recente studio, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Nutrition & Food Research, condotto da un team di ricercatori dell’University of South Carolina, negli Usa.

I ricercatori hanno utilizzato alcune capsule contenenti un concentrato in polvere di frutta e verdura come mele, broccoli, mirtilli, arance, spinaci, pomodori ecc. Successivamente hanno reclutato 117 volontari sani con età media di 35 anni. Questi sono stati suddivisi a caso in gruppi per ricevere le capsule contenenti il concentrato vegetale o un placebo. Il test è durato 60 giorni, dopo i quali gli scienziati hanno eseguito le analisi per valutare quali fossero stati gli effetti di un’integrazione di micronutrienti sui bio-marcatori dell’infiammazione.

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Il caffè previene la cataratta

Se non riuscite a leggere i fondi di caffè, non perché non siete dei veggenti ma perché avete difficoltà visive, allora continuate a bere, perché questo pare vi possa proteggere dallo sviluppare la cataratta. Che, come è ben noto, è un processo di progressiva opacizzazione del cristallino, ovvero della lente naturale trasparente e biconvessa dell’occhio che, insieme alla cornea, consente di mettere a fuoco i raggi luminosi sulla retina, che a lungo andare può anche causare una perdita della chiarezza visiva.

Ovviamente non bisogna abusare di caffè, il quale, come ogni altra sostanza, deve essere assunto in quantità corrette. Ad affermare tutto questo è un recente studio presentato al meeting annuale dell’Association for Research in Vision and Ophthalmology che si è tenuto a Fort Lauderdale in Florida, negli Usa, dal 2 al 6 maggio 2010.

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Ossigenoterapia

Spesso in primavera ci si ritrova con la pelle (del viso e del corpo) asfittica, ingrigita e priva di compattezza, e di elasticità: quando ci liberiamo dagli strati di abiti invernali, appaiono infatti più evidenti i danni prodotti da mesi di esposi­zione al riscaldamento, allo smog, agli sbalzi di temperatura, e soprattutto sono purtroppo ben visibili gli effetti di una cat­tiva ossigenazione dei tessuti.

L’ossigeno, il gas che insieme all’idrogeno ha dato origine alla vita sulla Terra, è uno dei principali carburanti dei nostri tessu­ti e, quando la pelle non ne riceve a suffi­cienza, a perdere compattezza e a non rigenerarsi più, formando smagliatu­re, cellulite e flaccidità. Senza contare che la carenza di ossigeno nell’organismo fa­vorisce anche disturbi digestivi, cattivo funzionamento dell’intestino e conse­guente stipsi, rallentamento metabolico, invecchiamento precoce, calo delle difese e sovrappeso.

 

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Cioccolato e dolcificanti ipocalorici per la salute dell’intestino

Ci sono alcune miscele di dolcificanti ipocalorici che aggiunti al cioccolato possono avere un effetto inaspettato ma benefico, diventano una sorta di probiotici. Ad affermarlo è lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Nutrition, condotto da un team di ricercatori dell’University of Reading, in UK, che ha analizzato gli effetti dei dolcificanti, come il maltitolo. Durante lo studio, finanziato da una nota azienda dolciaria, i ricercatori hanno valutato gli effetti dei dolcificanti ipocalorici in sostituzione del più tradizionale saccarosio.

I ricercatori hanno suddiviso 40 volontari a caso in quattro gruppi. Gli appartenenti al primo gruppo hanno ricevuto del cioccolato al latte dolcificato con saccarosio . Gli appartenenti ai tre gruppi rimanenti hanno ricevuto del cioccolato dolcificato rispettivamente con 22,8 g di maltitolo, con maltitolo e polidestrosio, con maltitolo e amido resistente. I partecipanti dovevano assumere il cioccolato consegnatogli per due settimane. Le settimane seguenti la dose è stata raddoppiata ogni due, per un totale di sei settimane.

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Alimentazione intermittente, ovvero i benefici del digiuno

Che lo chiamiate dieta della luna, eat stop eat, digiuno o alimentazione intermittente la sostanza non cambia, sempre di digiunare si tratta; ma se la sola idea di dire basta ai cibi solidi per almeno 24 ore di fila terrorizza i più, sono molti invece gli esperti che ritengono la pratica del digiuno saltuario un vero e proprio toccasana per l’organismo, a patto naturalmente di godere di ottime condizioni di salute fisica e psichica.

Infatti, osservare almeno un giorno di astensione dai cibi solidi almeno due volte a settimana (secondo quanto previsto dalla pratica del digiuno intermittente o intermittent fasting) permetterebbe all’apparato digerente di riposare stimolando allo stesso tempo la produzione di ormoni che aiutano a bruciare i grassi con le seguenti benefiche conseguenze: aumento del metabolismo, calo della massa grassa (senza danni per la massa magra), calo della pressione arteriosa, aumento della sensibilità del corpo all’insulina e miglioramento dell’assorbimento di glucosio con conseguente calo del rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari e diabete, come dimostrato da uno studio condotto presso il Dipartimento di Scienza nutrizionale e tossicologia della  University of California a Berkeley.

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Colesterolo alto? Un aiuto dal curry

curry-masalaIl curry è una miscela di aromi e spezie di origine indiana, che vengono tostati in padella ed in seguito pestati finemente, dalla composizione molto variabile. Nel proprio paese di origine il curry viene chiamato masala, ossia spezia. E tra le tante spezie che compongono il curry, è importante conoscere la curcuma, una spezia nota perchè ricca di curcumina, la famosa sostanza dalle proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e anticancro.

Secondo uno studio recentemente condotto da un team di ricercatori del Laboratorio di Gastroenterologia e Nutrizione dell’University of Lund, in Svezia, la curcumina avrebbe però anche particolari proprietà che inibiscono l’assorbimento del colesterolo LDL da parte di determinate cellule dell’intestino. Già consapevoli che precedenti studi in vivo avevano accertato come la somministrazione di curcumina potesse far diminuire i livelli di colesterolo LDL nel sangue, i ricercatori hanno concentrato il loro studio su come, eventualmente, questa sostanza potesse inibire l’assorbimento del colesterolo LDL nell’intestino.

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Aspartame, nemico della salute?

L’aspartame è un dolcificante artificiale largamente impiegato come sostituto dello zucchero in caso di diabete e nell’ambito di diete ipocaloriche; questo nonostante sia stato oggetto di controversie praticamente sin dalla sua “comparsa” nel 1965 quando il suo potere dolcificante fu scoperto, per puro caso, dal  chimico James M. Schlatter che stava lavorando alla produzione di un farmaco anti-ulcera presso i laboratori della casa farmaceutica statunitense G.D. Searle & Company.

Da quel momento l’azienda sviluppò un grande interesse per gli usi alimentari dell’aspartame e chiese alla Food and Drug Administration (FDA) l’autorizzazione per immetterlo in commercio come additivo alimentare. Il via libera arrivò nel 1974  nonostante alcuni studi ne avessero evidenziato effetti cancerogeni nel ratto ma, in seguito a un’inchiesta pubblica, nel 1980 fu impedito il rilascio di una nuova autorizzazione in attesa di risultati più certi sulla sua sicurezza. Il rinnovo fu però ottenuto l’anno successivo sotto l’amministrazione Reagan in base ai dati presumibilmente rassicuranti di  uno studio condotto in Giappone.

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