Abbuffate compulsive: colpa dell’amigdala

Il “College of Arts and Science” dell’Università del Missouri ha portato avanti una ricerca che potesse spiegare il perchè l’uomo tende, nonostante la sazietà, a mangiare troppo. Secondo lo studio diretto dal dottor Matthew Will e pubblicato su “Behavioral Neuroscience” la causa è da ricercare in una parte del nostro cervello, l’amigdala, nota per il suo ruolo svolto nel controllo delle emozioni e in particolare della paura.  

L’amigdala, spiega lo studioso, rilascia delle sostanze chimiche euforizzanti (oppioidi) che determinerebbero la tendenza ad abbuffarsi. Le irrefrenabili abbuffate sarebbero quindi legate ad input che provengono dal nostro cervello e che fanno sì che la persona senta l’irrefrenabile impulso a consumare una gran quantità di cibo. Durante la ricerca, al fine di analizzare il ruolo dell’amigdala, gli scienziati hanno “spento” l’amigdala nei topi da laboratorio.

Il risultato è stato sorprendente: gli animali tenuti a digiuno per 24 ore, in seguito all’addormentamento dell’amigdala non hanno mostrato nessun stimolo a nutrirsi. Secondo il Dott. Will questi risultati possono essere estesi anche all’essere umano. Questo risultato apre molte possibilità nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.

Negli ultimi anni un disturbo che ha fatto la sua comparsa nei manuali diagnostici è il Binge Eating Desorder. Il BED, molto diffuso nel sesso femminile, ha subito un rapido incremento. Questo disturbo si caratterizza per una tendenza massiva della persona a mangiare a dismisura e senza nessun controllo. L’eccessivo consumo di cibo può portare oltre che ad un aumento di peso a rischi per la salute.

Sono ben noti i rischi di una alimentazione eccessiva e non equilibrata: scompensi del sistema cardiovascolare, ipertensione arteriosa, diabete, ecc. Ad oggi i trattamenti privilegiati per questo disturbo sono i trattamenti psicoterapici e i trattamenti farmacologici che insieme sembrano essere molto efficaci nella cura delle persone colpite. Ci si augura che la ricerca continui ad esplorare questi disturbi e che possa arrivare a interventi risolutivi.

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