Binge eating e obesità, più a rischio dopo una dieta restrittiva

Secondo uno studio condotto alla Boston University dai ricercatori italiani Valentina Sabino e Pietro Cottone, le persone che seguono una dieta estrema corrono maggiori rischi di diventare obese e rimanere vittime del binge eating, un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dall’assunzione incontrollata di cibo ma che si distingue dalla bulimia per l’assenza di condotte compensatorie (in altre parole la persona non ricorre all’induzione del vomito e/o all’uso di lassativi per riparare all’eccessivo introito calorico).

Gli studiosi hanno dimostrato come la dipendenza e la compulsione verso alcuni alimenti possono insorgere come conseguenza di regimi dietetici caratterizzati dall’alternanza di cibi gustosi e ipercalorici (i cosiddetti junk food) e cibi “normali” analizzando il comportamento di alcune cavie da laboratorio; i topolini hanno seguito un regime dietetico alternato: per cinque giorni la settimana è stato somministrato loro del cibo normale per due una dieta zuccherina al sapore di cioccolato.

Come spiega Pietro Cottone

Dopo alcune settimane  nei cinque giorni “normali” i topolini sviluppavano una sintomatologia caratterizzata da un comportamento ansioso e dal rifiuto del cibo meno goloso, che in condizioni normali mangerebbero. Nelle 48 ore di alimenti al sapore di cioccolato, invece, si nutrivano in modo smodato e lo stress si placava.

Questo perchè l’eliminazione dalla dieta dei cibi più golosi attiva il sistema del fattore di liberazione della corticotropina («Crf») a livello dell’amigdala, la struttura cerebrale coinvolta nella genesi dell’ansia. Non appena le ghiottonerie vengono nuovamente somministrate i livelli di corticotropina tornano alla normalità con la conseguente scomparsa dell’ansia. Sarebbe quindi l’attivazione del «Crf» a rendere difficoltoso il mantenimento di un regime dietetico restrittivo avviando un circolo vizioso del tutto simile a quello osservabile nelle dipendenze da sostanze che vede aumentare, allo stesso tempo, il rischio di obesità e disturbi alimentari.

Pietro Cottone e Valentina Sabino sono approdati alla Boston University dopo aver conseguito la laurea in farmacologia all’Università degli Studi di Palermo. E’ lo stesso Cottone a spiegare come la loro storia ha avuto inizio:

All’Università di Palermo abbiamo presentato una tesi di laurea in farmacologia e siamo partiti per un periodo di pre e post-dottorato allo Scripps Research Institute di La Jolla. Lì abbiamo richiesto un finanziamento ai National Institutes of Health per un progetto di ricerca, utilizzando un nuovo meccanismo che dà la possibilità ai giovani ricercatori di fare il salto verso l’indipendenza, ricevendo fondi per realizzare un proprio laboratorio. E’ così che siamo stati assunti alla Boston University.

Adesso il loro sogno è quello di aiutare altri giovani colleghi italiani a fare altrettanto:

Vogliamo realizzare un altro sogno che aiuterebbe altri giovani italiani. L’idea è dare ad altri le stesse possibilità che abbiamo avuto noi, creando una borsa di studio meritocratica per lavorare nel nostro laboratorio. Ma è chiaro che per trasformare tutto in realtà abbiamo bisogno di fondi: ora cerchiamo finanziatori in Italia.

Lo studio è stato pubblicato su Proceeding of the National Accademy of Sciences

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